Abilismo e vita quotidiana

DEFINIRE IL PROBLEMA

Quando eravamo piccole ci succedevano delle cose non esattamente piacevoli (ma in realtà ancora adesso eh). Collegate al fatto che usiamo una carrozzina. Alcune persone ci parlavano come se fossimo delle bambine molto piccole, altri ci dicevano più o meno apertamente “ah, poverina”, altri parlavano con i nostri genitori come se noi non capissimo, per poi stupirsi quando mettevamo due parole una dietro l’altra. Erano sorpresi che facessimo alcune cose (tipo “ah ma va a scuola? Che brava! Com’è intelligente!”) o ci facevano carezzine non esattamente desiderate. Oppure sentivamo “pure due sono, che disgrazia”. E abbiamo sempre cercato modi per definire comportamenti o avvenimenti come questi ma non sapevamo la parola per parlare di tutto questo.

Dopo le superiori, con varie ricerche su blog inglesi, l’abbiamo trovata. In inglese è ableism. In italiano era stato tradotto in italiano con abilismo ma se ne parlava pochissimo.

È stato un po’ come accendere una lampadina, o come una sorta di epifania: improvvisamente alcune cose che ci succedevano avevano senso, facevano parte di qualcosa di molto più ampio di quello che credevamo. Soprattutto, succedevano anche ad altri, non solo ad altre persone disabili italiane, ma in tutto il mondo. Questa svalutazione, questo sottovalutarci, questi pregiudizi sulla nostra qualità di vita, questo equiparare la disabilità alla tragedia, fino all’esclusione vera e propria.

È fondamentale che ci sia un nome per definire le cose, che ti permetta di identificarle per poi poterle comprendere e affrontare. L’abilismo è fastidioso nel migliore dei casi, ma più spesso è doloroso. Sono micro aggressioni, micro traumi (a volte anche macro traumi). L’abilismo ti rende invisibile, senza diritti, poco importante, sacrificabile. Ha un impatto emozionale non da poco. Ma quando uno sa perché si trova in quella situazione allora quella situazione non riesce a schiacciarlo. Insomma cambia tutto.

PERCHÉ A ME?

A volte, magari da adolescente, ti capitano cose che non sai spiegare. Perché il prof fa parlare tutti e me, mi salta? Perché il primo pensiero di chi organizza una gita è darmi una camera a parte da sola con l’assistente? Per non parlare anche di tutti i comportamenti escludenti di persone più o meno vicine. E magari pensi: perché mi succedono queste cose? Qual è la chiave di lettura? E addirittura, sbaglio qualcosa io?

Be’, dico una cosa che da una parte è rassicurante, dall’altra è angosciante.

È che proprio siamo immersi in una cultura abilista. Da una parte è rassicurante perché spiega molte cose e ti “libera” da un certo senso di colpa e confusione. Dall’altra, beh, è angosciante essere immersi in una cultura abilista.

50 SFUMATURE DI ABILISMO

L’abilismo è fatto di sfumature, di livelli diversi di discriminazione. È estremamente vario. Può essere esplicito, anche violento. Oppure può essere “benevolo” — come quelle persone che ti dicono “eh ma “loro”, i disabili, sono tanto sensibili, hanno tanto da insegnarci”. Questo è renderci “altro”, è renderci un “loro” separato da un “noi”… Oppure l’abilismo può essere ipocrita, mascherato dietro una presunta buona intenzione: i famosi “è per il tuo bene, è per la tua sicurezza” detti con paternalismo per negare magari l’accesso ad uno spazio. Oppure per negare la possibilità di un lavoro, o di una scuola. “Eh, non siamo attrezzati per accoglierlo”.

Oppure l’abilismo può essere interiorizzato, ad esempio come quello che ci porta a pensare di essere un peso per gli altri, o di avere meno importanza, o meno diritti. Ed è molto facile cadere in questa convinzione quando i media non ci rappresentano, quando viene messo in discussione il nostro diritto ad esistere così come siamo con le nostre necessità.

UNIAMO LE FORZE

L’abilismo è un’esperienza comune a tutta la community delle persone disabili. Da una parte è interessante notare come impatti in modo diverso eppure in modo uguale persone con diverse disabilità. Una persona con una disabilità fisica può trovare tanti punti in comune con l’esperienza di una persona cieca per quanto riguarda il fare esperienza dell’abilismo. E una volta capito che è qualcosa che riguarda tante, tantissime persone, è una cosa molto più facile da affrontare. Non si tratta di “fazioni” diverse, le persone in carrozzina che vogliono l’abbattimento degli scalini e le persone cieche che vogliono i libri in braille. È la stessa lotta contro l’abilismo.

L’abilismo è “cugino” di altri tipi di discriminazione sistematica, come l’omobitransfobia, il sessismo e il razzismo. Questo è importante per molti motivi, ora ne cito solo uno: tutte queste oppressioni funzionano in modo simile tra loro, e una volta “compresa” come funziona una di queste è più semplice capire come funzionano tutte le altre.

DIMOSTRARE LE COSE

La reazione di molte persone disabili di fronte all’abilismo è quella di sentirsi in dovere di “dimostrare” le cose alle persone non disabili. È normale: di fronte a qualcuno che non ti valuta o ha basse aspettative, tu senti la necessità di dimostrargli che invece si sbaglia. Il rischio in tutto questo però è molto alto, intendo per la propria salute mentale. Uno, perché è uno sforzo continuo che uno richiede a sé stesso.

Due, perché tanto la maggior parte delle persone che ti sottovalutano in quanto persona disabile non è che improvvisamente ti valutano davvero se – ad esempio – gli dici che tu hai una laurea.

O meglio, sì, ad alcuni effettivamente sali di grado perché “nonostante sei disabile hai una laurea”. Però, voglio dire, se sono persone che si stupiscono che una persona disabile sia laureata è probabile che continueranno comunque ad avere molti pregiudizi verso di te.

Tre, se vivi con la necessità di dover dimostrare le cose rischi veramente di vivere in funzione del giudizio degli altri e perdere di vista quelli che sono i tuoi desideri. Ed è qualcosa che presenta il conto prima o poi.

Detto questo, è innegabile che se tu persona disabile non ti dimostri in qualche modo “intelligente” poi molte persone non ti si filano, perché comunque la cultura in cui viviamo è quella che è. Questo è un fatto e negarlo sarebbe non voler vedere la realtà. Quindi non è da biasimare il sentirsi in dovere di dimostrare le cose, assolutamente. Ma è fondamentale saper identificare questi meccanismi e eventualmente anche saperli sfruttare a proprio favore.

Avere cioè una consapevolezza che equivale a dire: ok, sono in un mondo in cui molte persone hanno pregiudizi su di me. Sono consapevole del delicato equilibrio tra il dover dimostrare le cose a chi mi sottovaluta e la necessità di non svilirmi come persona, di non chiedere troppo a me stesso. D’altra parte se in un determinato contesto (in un contesto lavorativo ad esempio) sento la necessità di dimostrare delle cose perché altrimenti mi trattano con paternalismo, allora lo faccio tranquillamente, una volta ogni tanto e come mia scelta.

A parte questo, se gli altri mi sottovalutano è un problema degli altri, non mio. Non devo compensare io per un problema che è degli altri.

Inoltre ci sono ovviamente tantissime persone non disabili senza pregiudizi, che hanno con le persone disabili un comportamento normale senza bisogno di dirgli che abbiamo avuto successi particolari. Quindi è utile anche avere questo “filtro” naturale di “selezione” delle persone. E in generale si vive meglio senza dover dimostrare le cose.

CONTRASTARE L’ABILISMO

Ok, come contrastare l’abilismo? Dunque, dipende. Dipende dal contesto, ad esempio. È importante che ognuno usi lo stile che più gli appartiene e che più è nelle sue possibilità. Questo per una questione di usare bene e in modo efficace le proprie energie. Cerca insomma di fare quello che ti riesce meglio senza esaurirti nel processo. A volte già solo vivere da persona disabile in un paese che non ti fornisce servizi essenziali come l’assistenza personale, la carrozzina elettrica adatta o che è costellato di barriere architettoniche è difficile. Quindi ci sono parecchi momenti in cui è proprio impossibile fare attivismo se si vuole sopravvivere e non ti devi sentire in colpa se non ce la fai. Al di là di questo, se ne hai la possibilità e le risorse è etico fare attivismo. C’è una sorta di dovere morale verso chi non ne ha la possibilità, magari perché recluso in qualche casa di cura.

Per quanto riguarda la vita quotidiana. Che fare se un tizio sconosciuto ti ferma per strada, ti accarezza e ti dice che gli dispiace per te? La risposta è: fai quello che ti senti. Possibilmente niente di illegale. Quello che però vorrei sottolineare è che non “vinci” necessariamente se rispondi a tono a qualcuno che ti compatisce. Può dare soddisfazione rispondere a tono, ma non ti buttare giù se non ce la fai, tanto tra l’altro sarebbe un esercizio sterile cercare di far cambiare idea a degli sconosciuti abilisti. Vinci se fai quello che ti senti, quello che le tue energie ti permettono di fare in quel momento. Ricordiamoci che è già abbastanza stancante ricevere queste micro aggressioni.

OSTILITÀ AL CONCETTO DI ABILISMO

È difficile parlare di abilismo. C’è a volte una certa ostilità verso questo concetto.

A volte, quando cerchi di spiegare che una cosa è abilista, ti esponi a tante risposte come: “non è vero”, “sei esagerata”, “non è così”, “fai la vittima” (persone non disabili, ma anche disabili).

Ciò che è difficile spiegare è che l’abilismo non è solo quello eclatante fatto di insulti o violenze. Esiste in una miriade di altre espressioni.

Il discorso sulla discriminazione verso le persone disabili in Italia è scarso e spesso solo abbozzato, spesso è fermo a una cosa tipo “eh ma io non discrimino, figuriamoci, ho un cugino disabile”.

C’è un certo contesto socio-culturale. Per dire, l’Italia è un paese in cui si fanno articoli su una “persona disabile che si laurea”.

PER CONCLUDERE

È forse più semplice, a livello superficiale, non mettersi a pensare a come si manifesta l’abilismo nella tua vita quotidiana. Ma alla lunga è molto meglio sapere cosa accade e perché accade. Perché una volta individuato il problema si può lavorare per risolverlo.

Maria Chiara e Elena Paolini

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