Intervista esclusiva al dr. Villanova sulla sua ultima pubblicazione sugli effetti delle staminali nella SMA I.
Nel totale silenzio mediatico e medico, il mese scorso la rivista scientifica American Journal of Physical Medicine & Rehabilitation ha pubblicato un articolo dal titolo “Allogeneic Mesenchymal Stem Cell Therapy Outcomes for Three Patients with Spinal Muscular Atrophy Type 1” (Risultati della terapia con cellule staminali mesenchimali allogeniche per tre pazienti con atrofia muscolare spinale di tipo 1).
Gli autori dello studio, come anticipato, sono stati il dott. Marcello Villanova (Reparto di Riabilitazione Neuromuscolare dell’Ospedale privato accreditato Nigrisoli di Bologna) ed il prof. John Robert Bach (Department of Physical Medicine and Rehabilitation, Rutgers New Jersey Medical School, University Hospital, Newark, New Jersey).
Qui sotto riportiamo la traduzione dell’abstract, a cura di Michela Policella:
“Non è stato documentato alcun trattamento medico efficace per l’atrofia muscolare spinale; tuttavia, studi cellulari, molecolari e preclinici suggeriscono che le cellule staminali mesenchimali allogeniche possano avere un ruolo. Tre bambini con atrofia muscolare spinale di tipo 1 sono stati sottoposti a infusioni multiple di cellule staminali mesenchimali a livello intratecale e endovenoso. Le loro funzioni fisiche pre-trattamento, durante il trattamento e post-trattamento sono state quantificate con la scala di valutazione funzionale Children’s Hospital of Philadelphia Infant Test of Neuromuscular Disorders (CHOP INTEND) per due pazienti e documentata da video per tutti e tre. I valori della scala CHOP INTEND erano 3 prima del trattamento, 10 e 16 durante il trattamento, e 0 e 10 al settimo e dodicesimo mese rispettivamente dopo che il trattamento è stato interrotto. Non è stato osservato alcun effetto avverso per almeno 44 e 49 mesi rispettivamente dall’inizio del trattamento.
Questi dati rappresentano il primo obiettivo, miglioramenti quantificabili delle funzioni fisiche per qualsiasi trattamento dell’atrofia muscolare spinale. Anche se i benefici sono stati persi quando la terapia è stata interrotta, questo può essere un primo passo per stabilire che le cellule staminali mesenchimali possono essere un trattamento sicuro ed efficace per l’atrofia muscolare spinale.”
Come possiamo vedere, si tratta del primo articolo al mondo che ha certificato dei miglioramenti in una malattia devastante come può essere la SMA I, poiché fino a oggi la letteratura medica non ha mai ritenuto possibile che piccoli pazienti affetti da questa patologia potessero migliorare spontaneamente.
Ecco perché abbiamo voluto intervistare uno degli autori della pubblicazione, il dr. Villanova, allo scopo di capire come sono arrivati a trarre queste sensazionali conclusioni e per approfondire i motivi di tanto astio e omertà verso questa controversa terapia con cellule staminali mesenchimali.
«Dr. Villanova, come e dove è nata l’intenzione di scrivere un articolo scientifico che valuta i miglioramenti su tre bambini malati di SMA I, trattati all’ospedale Brescia con le infusioni di cellule staminali mesenchimali?»
«Nasce dall’aver constatato dei risultati molto interessanti su questi bimbi, dalla voglia di descrivere un qualcosa utile, seppur con dei limiti dovuti al fatto che trattasi di terapie compassionevoli e non di sperimentazione, per il progresso delle conoscenze nel campo della SMA tipo I. D’altra parte siamo convinti che quello che abbiamo avuto modo di analizzare, e mi riferisco ai bimbi da noi visitati, costituisca un patrimonio umano di inestimabile valore, un vero peccato perderlo per sempre».
«Quanti mesi ci sono voluti, a lei e al prof. Bach, per portare a termine il lavoro?»
Diciamo che non è stato semplice scrivere questo lavoro. Non abbiamo trovato molta collaborazione con chi aveva visitato, oltre di noi, i pazienti. Oltre ai dati da me personalmente rilevati è stato necessario raccogliere tanta documentazione medica, a partire dalla loro permanenza presso l’ospedale Burlo di Trieste, le sorprese non sono mancate. La stesura del lavoro ha, comunque, necessitato diversi mesi».
«Come avete proceduto?»
«Abbiamo raccolto i dati, li abbiamo incrociati, approfonditi e in seguito abbiamo scritto l’articolo».
«Quali sono stati i dati analizzati e da dove sono stati presi?»
«Dati clinici raccolti dal sottoscritto, che ha avuto la possibilità di visitare questi bimbi a più riprese, e dati ottenuti dall’esame di documentazione medica in possesso delle famiglie. Poi, è stato necessario approfondire alcuni dati e qui il ruolo del Professor Bach è stato di estrema utilità».
«Avete trovato difficoltà a far pubblicare il vostro lavoro?»
«Purtroppo, il punto debole non erano i dati clinici, ma la chiarezza in quelli cellulari. Tuttavia, i referees hanno ben compreso che questi erano in un certo qual modo irrilevanti per il nostro articolo. Noi abbiamo analizzato l’esito clinico finale di un prodotto cellulare, non era nostro compito approfondire quest’ultimo. Volevamo descrivere ciò che abbiamo visto nella speranza che questo potesse risultare di interesse scientifico e aprire una speranza di trattamento per questi pazienti».
«Alcuni colleghi italiani hanno espresso scetticismo sul vostro lavoro. In particolare, sostengono che la scala di valutazione CHOP sia soggettiva e che i risultati potrebbero essere diversi in momenti differenti della giornata o da un giorno all’altro. Inoltre, voi stessi avete più volte affermato che il metodo สบStaminaสบ non esiste, quindi, come avete avuto il riscontro che siano state davvero infuse cellule staminali mesenchimali, che hanno poi portato a miglioramenti nella patologia?»
«Non ho letto commenti a tale riguardo da colleghi esperti di SMA tipo I, ma solo da non esperti (parliamo di addetti ai lavori che non hanno nulla a che fare con tale malattia) ad alcuni dei quali ho scritto personalmente una risposta in forma privata, ricevendo ringraziamenti per le delucidazioni offerte. Potrò certamente sbagliarmi, ma sembra più che le domande siano state costruite con un telecomando a distanza che uscite dal cervello di chi le ha formulate. Inoltre, i bambini affetti da SMA tipo I non muovono un arto alle 8.00 per poi perdere tale attività alle 12.00 e poi riprenderla alle 17.00. Questa è fantamedicina o voluta disinformazione! Per quel che riguarda, poi, il metodo Stamina, vero, non esiste, nel senso che non ci sono pubblicazioni a riguardo. Infine, per quanto riguarda la natura delle cellule, i dati provengono da certificazioni mediche».
«Perché in Italia, secondo lei, c’è stato tutto questo accanimento su questo trattamento cellulare?»
«Perché c’è stata da una parte poca chiarezza da parte di Stamina e dall’altra tanto pregiudizio da parte di molti scienziati che si sono arroccati nelle proprie torri d’avorio forti delle proprie certezze che non avevano; noi siamo cascati nel mezzo insieme alle famiglie e ai pazienti e le abbiamo prese da una parte e dall’altra».
«All’estero, invece, come è stata vista e vissuta tutta la vicenda?»
«Alcuni colleghi che lavorano su progetti inerenti l’utilizzo di farmaci nella SMA ci hanno esortato ad andare avanti. Le terapie cellulari possono costituire una possibilità di trattamento per queste malattie, come già descritto per altre malattie neurodegenerative, prese singolarmente oppure in associazione a farmaci. Oggi nella SMA si stanno affacciando farmaci di un certo interesse. Non escludo che le staminali mesenchimali, che attraversano con facilità la barriera ematoencefalica, possano costituire un vettore anche per questi».
«I genitori sono stati addirittura definiti “visionari”, per molti hanno utilizzato i loro bambini come cavie. Cosa vorrebbe dire a tal proposito?»
«Non c’è persona migliore di una madre di un bambino con SMA tipo I che conosca questi piccoli pazienti. Vede, il Professor John Bach mi ha ripetuto più volte che negli USA sarebbe folle dare della visionaria a una madre di un bambino affetto da una gravissima malattia come la SMA tipo I, un politico rischierebbe la rielezione. Non puoi vincere una battaglia contro una madre di queste. In Italia, tuttavia, ormai tutto è concesso. A dir la verità, siamo noi medici che impariamo da loro come osservarli e trattarli. Poi, per quel riguarda l’utilizzo dei bambini come cavie, chi ha detto queste sciocchezze non si è mai trovato di fronte alla morte, vorrei ascoltare il suo giudizio in quelle condizioni. Qui stiamo parlando di staminali mesenchimali già utilizzate in altre malattie neurodegenerative di cui esiste un’ampia letteratura. Il rischio, in queste condizioni, in un certo qual modo è calcolato. Purtroppo, tra le decine di progetti scientifici in corso a livello mondiale sulle staminali mesenchimali nel contesto di numerose malattie neurodegenerative non c’è un solo studio inerente le malattie rare perché queste non interessano, proprio per la loro rarità, neppure chi si occupa di terapie cellulari. Nella vicenda Stamina tutto nasce dal caso, sono i genitori che cercano e trovano questa via, nell’intento di fornire una chance in più di vita ai propri figli, ormai condannati a morte dalla stessa natura, bambini che vengono spesso abbandonati al loro stesso destino anche da chi risulta incapace di prendersi cura di chi non guarisce e mi riferisco a molti addetti ai lavori.
«Sempre i detrattori delle terapie cellulari nella SMA sostengono che la rivista su cui è stato pubblicato il vostro case report abbia un basso “impact factor”. Come si sente di replicare?»
«Innanzitutto, mi preme ricordare che “American Journal Physical Medicine and rehabilitation” ha un IF superiore a 2 e che questo non è certamente basso. Qualcuno ha anche detto che il Professor Bach è un co-editor della rivista e che questo ha facilitato la pubblicazione. Chi ha asserito questo ha certamente utilizzato un modo di vedere le cose molto italiano. Sarebbe interessante se questi avessero il coraggio di scrivere al Prof. Valter Frontera, editore del giornale, che, per come è andata nel nostro caso, non è certamente il tipo che lascia pubblicare articoli solo per amicizia. Inoltre, vorrei far notare agli osservatori dell’impact factor che moltissimi studi, molti dei quali hanno rivoluzionato concretamente la storia della medicina nell’uomo, sono stati pubblicati su riviste con “basso” impact factor . Avrei una lunga lista a riguardo. Una delle più recenti ed eclatanti è la scoperta dell’helicobacter pilori, causa della stragrande maggioranza di casi di ulcera gastrica, da parte dell’australiano dr. Marshall. I suoi studi, rigettati a quel tempo dal mondo scientifico ad “alto” impact factor, furono pubblicati inizialmente (perché costretto) su Reader’s Digest, rivista generalista letta negli USA, soprattutto dalle casalinghe. Poi, nel 2005, 23 anni dopo (sottolineo, 23 anni dopo), il dr. Marshall ha vinto il Nobel. In quegli anni la casta medica si schierò contro perché molto legata al consumo dei farmaci anti-acidi. Tuttavia, oltre all’impact factor, che riguarda le riviste scientifiche, ne esiste anche uno che riguarda il comportamento etico e morale dell’uomo, e allora, mi chiedo quale impact factor potrebbe avere uno che si rifiuta di visitare un bambino affetto da una gravissima malattia a prognosi infausta? A voi dare un punteggio. Molti tra coloro che denigrano il nostro articolo sono tra questi. Infine, qualcuno, forse, non se ne renderà conto, ma le nostre maggiori difficoltà, dovute all’astio da parte di tanti del mondo della scienza, provenivano dall’aver avvicinato famiglie “marchiate” dal nome Stamina. Noi, in fin dei conti, abbiamo solo svolto il nostro dovere di medici. Comunque, uno può dire quello che vuole per denigrare il nostro lavoro, ma i video parlano per se stessi.
«In conclusione, a tutti i bimbi e genitori che si sono visti scippare una speranza di vivere meglio, che cosa consiglia? Quale sarà il loro destino?»
A mio avviso, sarebbe utile un tavolo di discussione tra esperti e istituzioni su questa vicenda. Non possiamo lasciare questo campo di ricerca nelle potenziali mani delle case farmaceutiche, queste non sono interessate, perché costruire un trial sull’uomo costa tantissimo, il rischio di insuccesso è sempre possibile e il numero di pazienti è molto basso per giustificare questi costi. È per questo motivo che occorrerebbe investire molti più fondi pubblici in questo specifico campo, magari finanziando le prime fasi degli studi, per poi vendere i progetti “interessanti” alle case farmaceutiche. Questo potrebbe fornire una speranza in più per questi ammalati, di cui molti parlano per portare avanti i propri interessi (oggi sembra quasi una moda parlare delle malattie rare), ma pochissimi se ne fanno carico nel concreto. Aggiungo che nella vicenda Stamina occorrerebbe anche che chi è andato in giro sventolando per anni terapie per numerose malattie neurodegenerative, in assenza di studi pubblicati, mostrasse più chiarezza e collaborazione, questo soprattutto per il bene di quei malati nominati spesso a destra e manca per ottenere visibilità. Gli argomenti da discutere sarebbero tanti, tra questi molti anche di natura etica. Comunque, perché questa storia possa avere un seguito è necessario effettuare uno studio scientifico allargato, che contenga criteri clinico-scientifici definiti da esperti in materia. I nostri risultati possono fornire una base di partenza per questi studi e noi siamo pronti a discuterli. Oltre ciò, una discussione a parte va fatta per chi ha già intrapreso tali infusioni per via compassionevole vedendo, da un giorno all’altro, interrompersi il tutto. Infine, riguardo il loro destino, quello che posso affermare è che noi siamo e saremo sempre al loro fianco».
Elisa Vavassori
15 maggio 2015
Nella foto il dr. Marcello Villanova